domenica 22 dicembre 2013

Pensieri della domenica

Le immagini che i ragazzi mandano dall' Etiopia mi fanno pensare a diverse cose,  soprattutto al fatto che, sia che lo vogliamo o no, apparteniamo tutti alla grande famiglia umana che abita questo pianeta.
Le nostre vite sono spesso troppo occupate a nascondere l'evidenza della semplicità nella relazione tra le persone.
Basta un sorriso e un pallone per essere sulla stessa lunghezza d'onda anche se chilometri di distanza separano le nostre esistenze, basta una chitarra per capire che nessun luogo è così lontano da non poter essere raggiunto.
I nostri figli ci stanno aiutando a capire che il cambiamento è possibile..... basta partire da noi stessi.
Buona notte e grazie Uragani
Anna

Giorno 2 - Kofele

Padre Bernardo è stato categorico: la Domenica non si lavora.
Quindi il nostro servizio si è trasformato inesperienza di confronto e di osservazione nella sua missione a Kofele.
Qui ci ha accolto una piccola e giovane comunità di cristiani, appena 12 famiglie. Nella loro parrocchia, gestita dal frate romagnolo, abbiamo partecipato alla celebrazione della Santa Messa, che è stata recitata in ben tre lingue diverse.
Il momento in cui questa accoglienza si è fatta sentire più fortemente è stato lo “scambio musicale” che abbiamo avuto con coloro che assistevano alla celebrazione: loro con il canto tipico di questa terra, dal ritmo così caratteristico, accompagnato rigorosamente dal tamburo; noi con le nostre chitarre e voci e melodie del tutto diverse (Fin troppo comuni, alle nostre orecchie abituate).
La testimonianza di fede di questa piccola comunità, raccolta con il vestito della festa ben tenuto solo per le grandi occasioni, ci è giunta con tutta la sua forte semplicità, per quanto seguire la celebrazione in una lingua così estranea alla nostra sia stato comunque complesso. È difficile riprodurre le parole che Padre Bernardo ci ha donato nella sua omelia, parole di una fede in crescita, che ancora deve creare delle radici forti in un territorio che, ci è stato ripetuto più volte, è a prevalenza musulmano. Ma anche la testimonianza di uno Spirito condiviso tra tutti i cristiani del pianeta, che ci rende tutti figli di un unico Padre, il quale ha lasciato in dono a tutti i popoli della terra la sua eredità nella figura di Cristo.
Dopo aver condiviso altri canti e aver ricevuto l’accoglienza calorosa di tutta la diocesi della zona, è stata la volta del gioco e dell’allegria dei bimbi di queste famiglie. Nello stesso momento alcuni di noi hanno potuto visitare il museo etnografico della cultura Oromo, nel quale la tradizione di questo popolo ha preso forma concreta nei loro oggetti.
Anche questo significa contatto, anche questo significa capire.
Dopo un pasto frugale, pensato per avvicinarci alla loro semplicità, abbiamo visitato le strutture della missione lì a Kofele:un orto, la serra e i campi da calcio e d’atletica. In questa struttura, in particolare, si allenano i corridori olimpionici etiopi, per rafforzare la propria resistenza (visto che la particolare altitudine rende più difficoltoso il percorso).
Certo… quando abbiamo provato noi, a correre sullo stesso tracciato, sembrava fin troppo difficile.
Dopo i saluti finali ai bambini, e il consueto piccolo strappo che abbiamo subito, siamo tornati a Shashemene e qui, spinti dalle parole di Padre Bernardo, ci siamo dedicati alla seconda attività principale della Domenica, dopo il culto dello spirito: lo svago.
Ed esso ha preso forma in due modi diversi, apparentemente opposti: molte delle ragazze si sono sottoposte ad una seduta di parrucco, facendosi intrecciare i capelli nelle tradizionali treccine africane; i ragazzi, invece, hanno preferito riprendere l’allenamento fisico e raggiungere il campetto da calcio più vicino.
Quaggiù abbiamo trovato, tra il polverone alzato dai piedi scalzi dei bambini,una quindicina di ragazzini etiopi. Questa volta però, non abbiamo ceduto ai loro sguardi, o alla forza del tifo locale: Italia 4 – Etiopia 2.
Vedremo di organizzare la partita di ritorno in casa.
Questa sera è prevista una attività culturale: impareremo la lingua oromo.


A tre giorni dal Natale il nostro pensiero, e il nostro caloroso saluto, è rivolto anche a voi che leggete queste righe da casa.

Giorno 1: Godee

Dagli appunti di viaggio:
...dopo un viaggio lungo più di un giorno, estenuati da una corsa in pulmino sotto il sole, siamo finalmente arrivati a Shashemene. Ad accoglierci un gruppo sorridente e disponibile di tre suore cappuccine e le loro aspiranti e con un buonissimo ciambellone accompagnato da una tazza di thè.


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GIORNO 1 – Godee.
Il villaggio che ospita una delle missioni gestite da Padre Bernardo è situato in una vallata circondata da colline coltivate. Qui si trova una piccola cappellina dove, appena arrivati, abbiamo trovato ad accoglierci un inaspettato coro di bambini locali. Dopo i primi, intensissimi, sguardi e sorrisi siamo entrati nella missione.
All’interno di un grande tendone verde scuro Padre Bernardo, dopo averci fatto assistere alla preghiera della piccola comunità, i cui membri hanno cantato il Padre Nostro in oromo, ha assegnato ad ogni coppia di noi scout un bambino o ragazzo etiope.
Scopo: insegnare loro a scrivere le prime parole dell’ “Abbaa Keenya” (Padre Nostro). Tra quelli che riuscivano a maneggiare agilmente una penna nera, e i bambini che, al contrario, avevano una certa difficoltà a distinguere le lettere, siamo riusciti tutti (o quasi…) a fare in modo che i nostri piccoli allievi superassero l’arduo esame di Padre Bernardo.
Sicuramente, però, il momento più toccante della nostra mattinata è avvenuto dopo la premiazione (la consegna dei quaderni agli allievi meritevoli) e un momento di danze e giochi: siamo stati divisi in cinque gruppi ognuno dei quali ha avuto il privilegio di pranzare nella capanna di una famiglia locale.
Le capanne in cui siamo stati accolti, nella maniera più calorosa che personalmente abbia mai ricevuto, sono circolari, fatte in fango e legna. Il tetto è costruito con dei lunghi filari di paglia intrecciata; per isolarle dal freddo sono senza finestre e, quindi, non molta luce riesce ad entrare. Per costruirle, ci è stato detto, ci vogliono circa due mesi.
Al loro interno l’intera famiglia, nella maggior parte dei casi, ci ha accolto con il “piatto della festa”: un calice di legno intarsiato che viene regalato alla coppia che si sposa. Dentro di esso si cucina un piatto tipico dalla consistenza tipica della polenta ma dal sapore… … indescrivibile.
Anche noi abbiamo provato a rispondere alla cortesia di un’accoglienza così enormemente generosa, per quanto essenziale, con dei piccoli doni. Alcuni di noi sono stati salutati con un altro canto, altri ancora hanno fatto foto alla famiglia che li ha accolti, e alla loro casa… ma ciò che più ci ha colpiti è stato lo sguardo, incapace di dire altro se non: sono contento che tu sia qui.
Dai loro gesti, dalle loro stentate parole in un incerto inglese si capiva chiaramente quanto la nostra presenza fosse un onore immenso che regalavamo alla loro umile dimora. Alcuni di noi si sono sentiti persino a disagio quando, prima di servirci il pasto, ci hanno lavato le mani con una brocca d’acqua.
Dopo aver assaporato questi nuovi gusti, e questa nuova cortesia, abbiamo raggiunto nuovamente la missione dove, dopo tanti saluti e una quantità innumerevole di foto, ci siamo dovuti salutare. E qui… le piccole manine nere, sporche magari di terra, facevano una gran fatica ad allontanarsi dalle nostre, bianche e pulite con l’Amuchina in gel. Staccarsi da quei volti è stato forse il primo, grosso, strappo che abbiamo subito… pur certi che, nel corso del nostro viaggio, saremo costretti a viverne altri.
Alla fine, mentre il nostro pulmino ripartiva, rimanevano i bambini a rincorrerci nel polverone.

è arrivata una lunga email...



E' arrivata una email corposa....
ma dovrete aspettare fin dopo la messa: asesso devo andare!
Vi anticipo solo che c'è una bella foto e una lunga lettera scritta dai ragazzi.

ci riscriviamo/rileggiamo dolo le 11:30