Padre Bernardo è stato categorico: la Domenica non si lavora.
Quindi il nostro servizio si è trasformato inesperienza di confronto e di osservazione nella sua missione a Kofele.
Qui
ci ha accolto una piccola e giovane comunità di cristiani, appena 12
famiglie. Nella loro parrocchia, gestita dal frate romagnolo, abbiamo
partecipato alla celebrazione della Santa Messa, che è stata recitata in
ben tre lingue diverse.
Il momento in cui questa accoglienza si è
fatta sentire più fortemente è stato lo “scambio musicale” che abbiamo
avuto con coloro che assistevano alla celebrazione: loro con il canto
tipico di questa terra, dal ritmo così caratteristico, accompagnato
rigorosamente dal tamburo; noi con le nostre chitarre e voci e melodie
del tutto diverse (Fin troppo comuni, alle nostre orecchie abituate).
La
testimonianza di fede di questa piccola comunità, raccolta con il
vestito della festa ben tenuto solo per le grandi occasioni, ci è giunta
con tutta la sua forte semplicità, per quanto seguire la celebrazione
in una lingua così estranea alla nostra sia stato comunque complesso. È
difficile riprodurre le parole che Padre Bernardo ci ha donato nella sua
omelia, parole di una fede in crescita, che ancora deve creare delle
radici forti in un territorio che, ci è stato ripetuto più volte, è a
prevalenza musulmano. Ma anche la testimonianza di uno Spirito condiviso
tra tutti i cristiani del pianeta, che ci rende tutti figli di un unico
Padre, il quale ha lasciato in dono a tutti i popoli della terra la sua
eredità nella figura di Cristo.
Dopo aver condiviso altri canti e
aver ricevuto l’accoglienza calorosa di tutta la diocesi della zona, è
stata la volta del gioco e dell’allegria dei bimbi di queste famiglie.
Nello stesso momento alcuni di noi hanno potuto visitare il museo
etnografico della cultura Oromo, nel quale la tradizione di questo
popolo ha preso forma concreta nei loro oggetti.
Anche questo significa contatto, anche questo significa capire.
Dopo
un pasto frugale, pensato per avvicinarci alla loro semplicità, abbiamo
visitato le strutture della missione lì a Kofele:un orto, la serra e i
campi da calcio e d’atletica. In questa struttura, in particolare, si
allenano i corridori olimpionici etiopi, per rafforzare la propria
resistenza (visto che la particolare altitudine rende più difficoltoso
il percorso).
Certo… quando abbiamo provato noi, a correre sullo stesso tracciato, sembrava fin troppo difficile.
Dopo
i saluti finali ai bambini, e il consueto piccolo strappo che abbiamo
subito, siamo tornati a Shashemene e qui, spinti dalle parole di Padre
Bernardo, ci siamo dedicati alla seconda attività principale della
Domenica, dopo il culto dello spirito: lo svago.
Ed esso ha
preso forma in due modi diversi, apparentemente opposti: molte delle
ragazze si sono sottoposte ad una seduta di parrucco, facendosi
intrecciare i capelli nelle tradizionali treccine africane; i ragazzi,
invece, hanno preferito riprendere l’allenamento fisico e raggiungere il
campetto da calcio più vicino.
Quaggiù abbiamo trovato, tra il
polverone alzato dai piedi scalzi dei bambini,una quindicina di
ragazzini etiopi. Questa volta però, non abbiamo ceduto ai loro sguardi,
o alla forza del tifo locale: Italia 4 – Etiopia 2.
Vedremo di organizzare la partita di ritorno in casa.
Questa sera è prevista una attività culturale: impareremo la lingua oromo.
A tre giorni dal Natale il nostro pensiero, e il nostro caloroso saluto, è rivolto anche a voi che leggete queste righe da casa.
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