...dopo un viaggio
lungo più di un giorno, estenuati da una corsa in pulmino sotto il
sole, siamo finalmente arrivati a Shashemene. Ad accoglierci un
gruppo sorridente e disponibile di tre suore cappuccine e le loro
aspiranti e con un buonissimo ciambellone accompagnato da una tazza
di thè.
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GIORNO 1 – Godee.
Il villaggio che ospita una delle
missioni gestite da Padre Bernardo è situato in una vallata
circondata da colline coltivate. Qui si trova una piccola cappellina
dove, appena arrivati, abbiamo trovato ad accoglierci un inaspettato
coro di bambini locali. Dopo i primi, intensissimi, sguardi e sorrisi
siamo entrati nella missione.
All’interno di un grande tendone
verde scuro Padre Bernardo, dopo averci fatto assistere alla
preghiera della piccola comunità, i cui membri hanno cantato il
Padre Nostro in oromo, ha assegnato ad ogni coppia di noi scout un
bambino o ragazzo etiope.
Scopo: insegnare loro a scrivere le
prime parole dell’ “Abbaa Keenya” (Padre Nostro). Tra quelli
che riuscivano a maneggiare agilmente una penna nera, e i bambini
che, al contrario, avevano una certa difficoltà a distinguere le
lettere, siamo riusciti tutti (o quasi…) a fare in modo che i
nostri piccoli allievi superassero l’arduo esame di Padre Bernardo.
Sicuramente, però, il momento più
toccante della nostra mattinata è avvenuto dopo la premiazione (la
consegna dei quaderni agli allievi meritevoli) e un momento di danze
e giochi: siamo stati divisi in cinque gruppi ognuno dei quali ha
avuto il privilegio di pranzare nella capanna di una famiglia locale.
Le capanne in cui siamo stati accolti,
nella maniera più calorosa che personalmente abbia mai ricevuto,
sono circolari, fatte in fango e legna. Il tetto è costruito con dei
lunghi filari di paglia intrecciata; per isolarle dal freddo sono
senza finestre e, quindi, non molta luce riesce ad entrare. Per
costruirle, ci è stato detto, ci vogliono circa due mesi.
Al loro interno l’intera famiglia,
nella maggior parte dei casi, ci ha accolto con il “piatto della
festa”: un calice di legno intarsiato che viene regalato alla
coppia che si sposa. Dentro di esso si cucina un piatto tipico dalla
consistenza tipica della polenta ma dal sapore… … indescrivibile.
Anche noi abbiamo provato a rispondere
alla cortesia di un’accoglienza così enormemente generosa, per
quanto essenziale, con dei piccoli doni. Alcuni di noi sono stati
salutati con un altro canto, altri ancora hanno fatto foto alla
famiglia che li ha accolti, e alla loro casa… ma ciò che più ci
ha colpiti è stato lo sguardo, incapace di dire altro se non: sono
contento che tu sia qui.
Dai loro gesti, dalle loro stentate
parole in un incerto inglese si capiva chiaramente quanto la nostra
presenza fosse un onore immenso che regalavamo alla loro umile
dimora. Alcuni di noi si sono sentiti persino a disagio quando, prima
di servirci il pasto, ci hanno lavato le mani con una brocca d’acqua.
Dopo aver assaporato questi nuovi
gusti, e questa nuova cortesia, abbiamo raggiunto nuovamente la
missione dove, dopo tanti saluti e una quantità innumerevole di
foto, ci siamo dovuti salutare. E qui… le piccole manine nere,
sporche magari di terra, facevano una gran fatica ad allontanarsi
dalle nostre, bianche e pulite con l’Amuchina in gel.
Staccarsi da quei volti è stato forse il primo, grosso, strappo che
abbiamo subito… pur certi che, nel corso del nostro viaggio, saremo
costretti a viverne altri.
Alla fine, mentre il nostro pulmino
ripartiva, rimanevano i bambini a rincorrerci nel polverone.
Sono con voi con il cuore! dalla fotografia traspare che state vivendo un esperienza indimenticabile! Un abbraccio a tutti Anna
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