... come mi è stato chiesto riporto qui cio che i ragazzi hanno scritto su Facebook
Una canzone scout che ben conosciamo recita: “la fatica aiuta a
crescere”. Quindi nel nostro viaggio è stata, oggi, la volta di
rimboccarsi le maniche della camicia e sporcarci le mani.
Dopo
una sveglia anticipata alle ore 6 siamo partiti per il villaggio di
Karso. Il pulmino, dopo una breve sosta a Kofele, ci ha scaricati nel
mezzo di una strada polverosa e abbiamo cominciato a camminare. Qualcuno
ci aveva predetto due ore di cammino ma, vuoi per il nostro essere
scout, il viaggio è durato solamente quaranta minuti.
Convinti,
quindi, di aver terminato con le attività fisiche, per la giornata,
siamo arrivati nel piccolo villaggio di capanne di Karso; ma le nostre
previsioni si sono rivelate del tutto inesatte: ad aspettaci, infatti,
c’era un cumulo di pietre, una catasta di pali di legno e una
montagnetta di sabbia da spostare.
A
Karso, infatti, dovrà sorgere, costruita con quei materiali poveri ed
essenziali, una nuova chiesetta per accogliere la giovanissima comunità
cattolica che Padre Bernardo vuole far nascere.
Tra chi ha
costituito una catena umana per spostare i sassi, chi ha usato dei
logori sacchi rossi per trasportare la sabbia, chi ha trascinato lunghi
pali di legno e chi ha animato i bambini del villaggio prima e dopo
essere stati a scuola, sono passate le ore della nostra mattinata.
Quando oramai i lavori erano sul punto di essere conclusi alcuni di noi
hanno avuto la possibilità di sperimentare il viaggio che, ogni giorno,
gli abitanti del villaggio devono compiere per raggiungere la fonte
d’acqua. Dopo un’ora di sentiero, tra discesa e salita con le taniche
piene, siamo riusciti a tornare al villaggio.
A questo
punto Padre Bernardo, dopo aver tirato fuori una corda da 7 metri, ha
tracciato sulla dura terra della collina la pianta della futura
chiesetta: una circonferenza segnata con una serie di canne. Mancava
solamente una cosa da fare: per usare le parole di Bernardo abbiamo
“tirato giù lo Spirito Santo” su quel luogo, su quella futura terra di
culto. La cerimonia è stata semplice, ma molto toccante; soprattutto
perché con essa comincia una nuova avventura alla quale, ne abbiamo
avuto la certezza, abbiamo partecipato anche noi.
Terminato questo
momento abbiamo usufruito ancora una volta della generosissima
ospitalità di questo popolo e, dopo esserci stretti nella capanna di
fronte alla futura chiesa, abbiamo pranzato: oltre al piatto tipico,
simile alla polenta, che abbiamo mangiato il primo giorno, ci è stato
offerto del capretto in una salsa piccante (che ha messo a dura prova
molti di noi) e l’injera (una sorta di piada umida e spugnosa dal gusto
leggermente acido).
Salutato anche il villaggio di Karso, non
prima che il capo famiglia ci invitasse a tornare il prossimo anno
(magari!!), abbiamo ripreso il cammino inverso ma, una volta risaliti
sul pulmino, non siamo tornati verso Shashemene bensì in direzione di un
altro villaggio: Denda.
Qui Padre Bernardo, per aiutare
la famiglia cristiana che ci vive, ha montato un tendone sotto al quale
ci siamo ritrovati con gli abitanti. Con loro abbiamo condiviso il canto
e la preghiera e, con nostro stupore, un nuovo pasto. Questo perché, ci
hanno detto chiaramente, per loro è importante condividere con noi che
veniamo da lontano due cose, ossia la spiritualità e il cibo.
Dopo
aver mangiato, e terminato il pasto con una tazza di the alla cannella
che ha colpito tutti noi per la sua bontà, è stato un privilegio poter
condividere anche la gioia della danza. Anche in questo caso c’è stata
la differenza dei due popoli, perché noi ballavamo con i nostri canti
mentre loro al solo ritmo del tamburo; ma ciò che era più evidente, al
di là delle differenze, era la gioia reciproca di essere lì, in quel
momento, in quell’incontro di popoli così caloroso.
A fatica (nonché in ritardo) siamo venuti via.
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